domenica 4 novembre 2018

C'erano una volta i soldatini di Goldrake dell'Atlantic. Intervista a Domenico Greco

La confezione con i 22 personaggi "amici"

Proviamo a immaginare un'uggiosa giornata d'autunno. Ha appena finito di piovere e ci stiamo aggirando nella zona del cimitero monumentale di Milano, in quello che è il quartiere degli artisti, per compiere un salto indietro nel tempo e andare a incontrare lo scultore Domenico Greco che, alla fine degli anni Settanta, lavorò con la Atlantic per scolpire i soldatini di Goldrake.

Arrivati a un vecchio portone che, aprendosi, sembra davvero condurci in un'altra epoca, entriamo in quella che a metà del secolo scorso era una vecchia fabbrica ora trasformata in appartamenti. In fondo al viale il tempo sembra essersi fermato proprio a 40 anni fa, congelato in un eterno presente. Una vecchia e ripida scala di metallo, resa scivolosa dalla pioggia, ci conduce nello studio di scultura di Domenico Greco che, come ci conferma l'artista, poco o nulla è cambiato da quando qui lavorava ai calchi in cera da cui sarebbero poi stati tratti i soldatini di Goldrake. 
I colori e gli odori sono quelli che ci aspetterebbe di trovare nell'antro di uno stregone. Sul tavolo gli attrezzi del mestiere, in un angolo pile e pile di volumi con illustrazioni e bozzetti di sculture.
Proviamo quindi a ripercorrere con lui la storia dei soldatini Atlantic di Goldrake rivivendo una delle stagioni più interessanti e felici della storia del giocattolo italiano. 
Un piccolo antipasto che avremo modo di approfondire nuovamente con ulteriori interviste e, perché no, magari con un'edizione aggiornata e ampliata di C'era una volta Goldrake.

Lo scultore Domenico Greco nel suo studio
Profilo di Domenico Greco
Domenico Greco nasce a Petilia Policastro nel 1946 per poi trasferirsi da piccolo a Milano, dove vive e lavora.
Frequenta subito la scuola Superiore d’Arte del Castello Sforzesco, sotto la direzione del prof. Felice Mina. Apre fin da giovane il proprio studio, in via Bramante, che per la sua prossimità al Cimitero Monumentale e all’Accademia di Brera è sempre stato crocevia di studi artistici.
Dedica ed approfondisce la sua ricerca sulla scultura monumentale, quasi sempre classica e figurativa, e i suoi monumenti sono presenti in varie regioni italiane, nonché negli stati Uniti.
Sue opere personali, facenti parte di collezioni private, si trovano in tutto il mondo, con particolari committenze in Giappone, Emirati Arabi, Stati Uniti ed Africa con il “Bastone della pace degli stati africani”.
Alcuni suoi lavori sono stati donati da autorità italiane a personalità politiche estere in visita di stato, nonchè a vari personaggi di cultura, sport e spettacolo.
E’ autore del Premio Culturale Carlo Porta, dedicato a persone che distinguendosi con la loro professionalità fanno conoscere Milano nel mondo (es. Riccardo Muti, Don Verzè, Mike Bongiorno, etc.).
Ha realizzato, da un disegno di Antonio Canova una scultura equestre, dietro concessione dei Musei Vaticani, che si trova in nord America.
In Calabria sono presenti tre sue opere in bronzo: il monumento ai caduti di tutte le guerre a Petilia Policastro, il monumento dedicato ai Minatori a Pagliarelle e la statua del Rosmini ad Isola di Capo Rizzuto.

Facciamo un viaggio indietro nel tempo e ritorniamo agli Settanta. Lei faceva già lo scultore. Di che cosa si occupava in quel periodo?
Negli anni Settanta avevo già aperto il mio studio qui a Milano in Via bramante, esattamente dove ci troviamo ora. Nulla è cambiato in questi ultimi 40 anni. È come se il tempo si fosse fermato. A quel tempo, prima di occuparmi dei soldatini della Atlantic, lavoravo solitamente su committenza. Mi arrivano infatti spesso committenze per arte funeraria (non a caso siamo vicino al Cimitero Monumentale), sacra, decorativa e io realizzavo quanto mi veniva richiesto.

Quando fu contattato dalla Atlantic e da chi?
Fui contattato direttamente dal ragionier Compagnoni, il proprietario della Atlantic. No so chi gli fece il mio nome. Tra l’altro ai tempi eravamo in zona, eravamo proprio qui vicino. Compagnoni andava spesso dalla moglie che stava qui col negozio di giocattoli in Via Paolo Sarpi e un giorno venne qui da me in studio per chiedermi se avrei potuto fargli dei soldatini. Io gli dissi che ci avrei provato. Non era proprio il mio lavoro, ma avrei fatto un tentativo. Mi ha portato delle illustrazioni di quello che avrei dovuto fare e abbiamo iniziato così la nostra collaborazione. Era solito dire che aveva lo scultore “in casa” da quanto eravamo vicini, e non lo aveva mai saputo prima.

Di che anni stiamo parlando?
Era la fine degli anni Sessanta e io avevo poco più di venti anni. Da quel momento ho poi iniziato a creare tanti personaggi, come per esempio la serie degli Egiziani.

Dopo questo primo contatto con Compagnoni chi era la persona (o le persone) in Atlantic con cui poi doveva interfacciarsi?
Il ragionier Compagnoni aveva una sua segretaria che si interessava di queste cose e con la quale io avevo contatti. Poi fu lo stampista a passarmi direttamente le illustrazioni da cui io dovevo ricavare le sculture dei soldatini per le varie serie. Proprio il quel periodo, nel 1969-1970 ho conosciuto un certo Giancarlo Vassallo che aveva l’officina per stampare vicino a Milano, a Cusago. La ditta si chiamava INVA. Il capannone si trovava in Via Enrico Fermi. Loro avevano le illustrazioni dalla quali si dovevano ricavare i soldatini. Mi portavano i disegni da cui io avrei dovuto ricavare le sculture e gli eventuali pezzi che dovevano essere fatti a parte e non potevano essere fatti direttamente nello stampo.

Una volta che lei aveva realizzato le sculture chi dava l’approvazione o richiedeva eventuali modifiche?
I modellini io li realizzavo in cera e li inviavo quindi in approvazione. Non ricordo chi formalmente si occupasse di questo passaggio. Poi iniziava il lavoro cosiddetto di spartitura con cui le sculture venivano divise in due per poi ricavarne lo stampo. Di solito se c’era qualche particolare modifica tecnica da apportare ci pensavano direttamente loro, magari se si doveva evitare qualche piccolo sottosquadra (nella tecnica dell’intaglio e della scultura, soprattutto nel bassorilievo, il termine sottosquadra sta a indicare gi incavi più profondi che formano un angolo acuto col piano costituito dal fondo dell’opera).

I soldatini di Goldrake e Capitan Harlock ancora conservati dall'artista
Quindi lo stampatore che portava dei disegni. Si trattava di disegni tecnico oppure no?
Non era propriamente disegni tecnici. Spesso mi portavano dei veri e propri volumi con delle illustrazioni, come nel caso degli Egizi. Invece per una serie come Capitan Harlock mi portarono dei disegni, più o meno dettagliati, dei bozzetti, e mi davano indicazioni sulle pose che avrei dovuto realizzare. C’era in questo caso un disegnatore che se ne occupava ma io non l’ho mai conosciuto. Avevo comunque una certa libertà esecutiva sul lavoro. Prendevo la cera e iniziavo a modellare, proprio su questo tavolo che vede qui di fronte a me. Usavo la cera perché è un materiale molto duttile che consente di andare bene nel dettaglio. Se poi era necessario apportare qualche piccolo cambiamento bastava riscaldare di nuovo la cera e sistemare il tutto.

Mi racconta di quando realizzò i modellini di Goldrake che Compagnoni decise di mettere in produzione quando si rese conto che ormai il tema della fantascienza e dei cartoni animati giapponesi era diventato molto importante tra i bambini?
Di norma la Atlantic si muoveva con diversi mesi di anticipo ovviamente in modo da arrivare nei negozi con il prodotto quando il cartone animato era in onda o subito dopo. Con Goldrake invece arrivò più tardi.
Per Goldrake ho scolpito una serie di personaggi (gli eroi da un lato, i nemici dall'altro) con pose diverse come mi era stato richiesto. Del robot Goldrake e del corrispettivo mostro di Vega non ne feci molti perché non si trattava di personaggi figurativi classici come quelli che ero solito realizzare e che avevano una certa dinamicità delle pose. Oltre ai disegni in questo caso mi era stata fornita anche una videocassetta di Goldrake da visionare e da qui ho estrapolato gli elementi che mi servivano. Tra l’altro io non avevo il videoregistratore e sono dovuto andare a comprarmene uno. È stata una spesa non indifferente, ma per fortuna i lavori della Atlantic erano ben pagati. Certo per uno scultore questo tipo di lavoro poteva sembrare poco dignitoso, però dal momento che era redditizio spesso preferivo fare questo tipo di lavoro anziché occuparmi delle classiche sculture funerarie il mercato delle quali era estremamente concorrenziale.

Quanto tempo era necessario per realizzare un figurino come quelli di Goldrake o Capitan Harlock?
Dipende dal tipo di figura, dal livello di dettaglio, dalla posa. Diciamo che orientativamente erano necessari almeno un paio di giorni di lavoro perché è chiaro che le rifiniture tecniche sono molto lunghe.

Lei fece anche l’Alkadia di Capitan Harlock che era costituita da diversi pezzi componibili?
No, l’astronave non la feci io. Io mi limitai a modellare le figure. Questo perché quando si subentrava a fare un lavoro più tecnico come in questo caso intervenivano altri.



Quanto era grande una scultura di cera da cui poi veniva tratti i modellini da mandare allo stampaggio?
Per realizzare un buon lavoro che potesse essere ridotto con precisione in proporzione partivo da un blocco di cera alto almeno 15-16 cm. Era una scala che avevo deciso io perché mi trovavo bene e potevo lavorare in maniera ottimale ai vari dettagli come il viso, gli occhi e così via.

Come si passava poi da questa scultura allo stampo vero e proprio dal momento che i modellini erano molto più piccoli di 15-16 cm?
A livello tecnico questo era un lavoro di cui si occupava lo stampatore. La procedura si chiamava spartitura e consisteva nel dividere la scultura verticalmente in due metà e si realizzavano sulla base di questi i rispettivi gusci che rimanevano dopo che la cera veniva eliminata lasciando la sua impronta per così dire. Il materiale utilizzato per realizzare i gusci si chiamava araldite, una sorta di resina molto resistente e dura. Una volta ottenute queste due metà si passava alla lavorazione al pantografo, uno strumento che consentiva di “riprodurre” questi gusci in scala più piccola o più grande a seconda delle esigenze di stampaggio. C’era un addetto che si chiamava tastatore che seguiva minuziosamente il rilievo del guscio che veniva quindi riprodotto più in piccolo su un piastrino con una punta d’acciaio. Una sorta di vera e propria copia 3D più in piccolo del calco originale. Si partiva con una punta grossa per iniziare ad abbozzare la figura e si proseguiva poi con punte sempre più piccole per andare a riprodurre tutti i dettagli. Era un lavoro che richiedeva una grande manualità, ma anche tanta esperienza. Questi lavori manuali davano un risultato che è migliore rispetto a quanto realizzato oggi con il computer e la stampa tridimensionale.

Che ricordo ha lei del ragionier Campagnoni della Atlantic?
Era una persona fantasiosa, simpaticissima. Mi ha anche invitato qui a Milano nella prima sede della sua azienda a vedere come stampava i giocattoli.

Si ricorda qualche aneddoto di quel periodo?
È stato un periodo bellissimo, prima di tutto perché ero molto giovane e poi c’era questo lavoro nuovo e la curiosità di seguire, vedere e capire come realizzare al meglio questi soldatini. Certo per chi era abituato alla scultura monumentale questo lavoro poteva sembrare un ripiego o addirittura una cosa di cui vergognarsi. Non le nascondo che a volte, quando venivano a trovarmi dei colleghi scultori, preferivo nascondere i modelli dei soldatini ai quali stavo lavorando. Va detto però che anche per questo tipo di lavoro ci voleva una certa capacità, un certo gusto, una certa tecnica che non tutti possedevano.

4 commenti:

  1. Che chicca!
    Intervista interessante ;)

    RispondiElimina
  2. Mi sono sempre chiesto se questi soldatini all'epoca vendessero bene oppure no...

    RispondiElimina
  3. #FabFab purtroppo la Atlantic arrivò un po' più tardi degli altri a proporre sul mercato prodotti tratti dagli anime giapponesi e questo ebbe conseguenze sulle vendite che non furono certo esaltanti. Di lì a poco inoltre l'azienda andò incontro a un triste declino.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Che io sappia, vendettero bene ( specie il Goldrake da montare ), il problema è che dopo l'arrivo degli anime nipponici , era tutto il resto della produzione Atlantic a essere snobbata ( tipo gli egiziani, soldati di guerra e simili ).
      Non a caso Atlantic cercò di riciclarsi con linee a tema fantascientifico ( la Galaxy Serie ) che si trovava ovunque , specie in edicola ( me li ricordo ancora, che tempi ), ma erano gli ultimi guizzi di vita.
      Bisogna anche dire che l'epoca non fu proprio ", almeno per le aziende : una delle stagioni più interessanti e felici della storia del giocattolo italiano " : infatti ci fu un importazione pazzesca di prodotti senza alcun criterio, che portò nel giro di 4 anni a saturare il mercato , mandando in fallimento varie aziende di giocattoli, editori di funmetti e più chi ne ha più ne metta.

      Elimina